giovedì 29 agosto 2013

Sulla mia pelle.




Oggi, 29 Agosto 2013, è un giorno molto importante. 
E' il giorno in cui la bitch ha deciso seriamente di farsi un tatuaggio.
C'avevo già pensato. 
Ci penso da un po', a dire il vero, accarezzando l'idea di cosa potrei farmi, imprimermi a vita sulla mia pelle. 
La verità è che non ho mai avuto le palle di farlo davvero. 
Perchè non c'è niente che mi spaventa di più del per sempre. 
Se decidi di scriverti qualcosa addosso, che sia in fronte o nel posto più remoto del tuo corpo, vuol dire che significa qualcosa. 
Non credo nei tatuaggi "estetici", la gente che alla fine si tatua davvero, non sceglie il primo tribale a cazzo o il simbolo dell'infinito che ormai è più diffuso dell'iphone. 
Quelli che si tatuano davvero, scelgono qualcosa che conta e che conterà per sempre. 
Perchè sulla nostra pelle rimangono comunque tatuaggi, segni invisibili dei baci di chi ti ha amato, delle cicatrici di chi ti ha amato un po' meno, delle carezze di quelli che ti hanno consolato. 
La pelle è lo "scudo" inesistente con cui noi veniamo a contatto con il mondo. 
E, anche se non ce ne accorgiamo, assorbe tutto: sapori, odori, lacrime. 
I tatuaggi che ti fai sono semplicemente segni che per te sono talmente importanti da volerli far vedere, se non agli altri, almeno a te stesso. 
Sono moniti, promesse, ricordi. 
Ce li avevi già sotto la pelle. 
Tatuandoti li porti semplicemente in superficie. 
Sulla mia pelle vorrei scrivere tante cose: le frasi dei libri che mi hanno cambiata, i nomi di quelli che amo, le canzoni che mi hanno salvata, i valori in cui credo e in cui vorrei continuare a credere. 
Per sempre. 
E il per sempre è un tempo straordinariamente lungo. 
Per questo bisogna discernere, scegliere bene, fare una cernita, per capire quello che è veramente importante.
Quello che vuoi portare con te. 
Per sempre. 
Sulla tua pelle. 
E allora si fa come quando si svuota l'armadio prima di trasferirsi, di cambiare vita; si svuota tutto il contenuto e lo si rovescia sul letto. 
Lo si osserva, se si è incerti si prova qualcosa e si sceglie quello che ti rappresenta di più, quello che ti sta meglio addosso, e ci si fa forza per liberarsi di quello che ormai non ci sta più, per quanto ci siamo affezionati. 
L'unico problema è che svuotare il cuore è molto più difficile e doloroso che svuotare un armadio. 
C'è molta, molta più roba e, se lo dico io, è grave. 
La pulizia dell'armadio l'ho già fatta all'inizio di questa interminabile estate. 
Ho tolto più cose di quante volessi, per non avere zavorra.
Alcune cose mi mancano. 
Altre le ho già dimenticate. 
Il cuore, tutto, non sono riuscita a svuotarlo. 
Non ce la faccio. 
Magari un giorno, quando e se troverò qualcuno che mi aiuterà a farlo, avrò il coraggio di andare fino in fondo.
Per ora ho scremato un bel po' la superficie lasciandola grezza e non levigata. 
E da tutto ciò è emersa una frase, una frase di una canzone "vecchia" che mi ha salvato, quest'estate.
Una frase che è un monito, un'invito a vivere nel mondo reale, a non lasciarmi andare mai, un monito per ricordarmi che la devo smettere di pensare tra le nuvole e vivere qui, nel casino, tra le cose concrete, reali, vere.
Perché la gravità pesa e l'impatto fa male, ma a volte serve. 

"Snap back to reality... Op there goes gravity" 

Sotto al cuore, sulle costole, dove fa più male. 

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